Che tristezza: ONLUS italiane in Nepal (1)

 

salamSalam ha un viso tondo e buono, la sua storia è quella di tanti Tamang che hanno cercato di sopravvivere migrando a Kathmandu, trent’anni fa, quando era ancora giovane. Ha fatto il portatore nelle strade e nei trekking, la guida e, poi, ha iniziato lavorare per la cooperazione internazionale nel suo villaggio (Thulo Parsel, Timal Kavre). Lì ancor oggi non c’è corrente elettrica, acqua corrente, servizi sociali e sanitari. La gente vive di mais e patate, tantissimi scappano all’estero.  Una persona onesta, seria che crede nel suo lavoro. Un elemento raro fra chi lavora nella cooperazione. La sua NGO, dopo aver fatto piccoli progetti (scuole, sostegno all’educazione), iniziò a collaborare con una ONLUS italiana che, dal 2003, finanziò un programma integrato e apprezzato per migliorare le condizioni materiali e sociali delle sue comunità (educazione, elettrificazione, sanità). Salam ( e isuoi collaboratori, quasi tutti tamang dei villaggi) furono i creatori, ispiratori e organizzatori di questo importante lavoro. Iniziarono a lavorare in modo diverso rispetto alle altre INGO e UN, direttamente con le comunità, senza passare per le burocrazie nazionali e locali.

Quando, nel 2004, fu costruita la prima scuola del progetto (BalBikas a Thulo Parsel) i contadini Magar e Tamang mi mostrarono con orgoglio le mani con la quale l’avevano costruita, racconta commosso Salam, e le spese sostenute, a cui tutta la comunità aveva partecipato. Mi dicevano, con queste mani abbiamo costruito la scuola per i nostri figli. Il luogo era sperduto fra le colline del Nepal. Villaggi distanti e dimenticati dai governi e dalle mafie della cooperazione internazionale.

Salam ha lavorato duro e, negli anni, ha tessuto un rapporto profondo con le comunità, fatto di fiducia e stima. Ciò gli ha permesso di lavorare anche negli anni del conflitto, quando tante organizzazioni internazionali preferirono scappare a Kathmandu. Il suo lavoro ha portato benessere, educazione, salute alla sua comunità; oltre 800 bambini hanno potuto andare all’asilo e ricevere integrazioni alimentari, 5000 ricevevano due volte all’anno materiale didattico che sgravava di costi insopportabili i bilanci delle famiglie, oltre 100 insegnanti sono stati assunti per migliorare la qualità dell’educazione e tante altre cose per la salute, i bufali per le famiglie più povere, etc.

Poi, dal 2007, mi racconta tutto è cambiato in Italia sono arrivati un manipolo di vecchi politicanti (trapassati in diverse repubbliche), qualche bollito ex consulente delle NU (abituato ad essere pagato USD 700 al giorno per dormire nelle conventions) e un paio di incapaci e hanno iniziato a rispettare le regole universali delle ONLUS e INGO: tanto fumo (forma, reports, trainings, workshop in hotel a 5 stelle, improbabili certificazioni) e l’arrosto è bruciato.

Le spese di gestione sono drammaticamente aumentate e i programmi bruscamente tagliati o gestiti in maniera inefficace. Salam e le comunità hanno chiesto spiegazioni, altri beneficiari (nel Terai) hanno scritto lettere. Tutto inutile, la risposta è stata “se non vi va bene spostiamo i programmi in altre zone”, alla faccia della “partnership” e del coinvolgimento delle comunità (formule scritte in tutti i siti e documento delle ONLUS). Salam onesto, membro delle comunità, magari con poco inglese è stato isolato.

Ora chi comanda sono i burocrati piazzati nell’ufficio di Kathmandu e scelti da incompetenti italiani; sono un battaglione di funzionari comprati da altre organizzazioni, mercenari abituati a fare niente e guadagnare tanto, incuranti e senza la minima conoscenza ed interesse nei progetti e nei villaggi.

L’ufficio da un organico di 6 persone è passato a venti, quadruplicando le spese di gestione. Clamorosamente fra i nuovi assunti non c’è neanche un Tamang (maggioranza della popolazione nella sede dei progetti). “Tutti i nuovi assunti appartengono a Shestra, Bhaun, Newari (le caste dominanti), tutti guadagnano cifre spropositate, hanno lab-tops gratuiti, macchine a disposizione, mi racconta ed elenca: Chanda Rai, country director stipendio 150.000 nrs.; Buddhi Man Shestra, nrs. 90.000; Lachi Singh, nrs. 90.000; Vishnu Shestra nrs 90.000; Rajesh Shestra nrs. 90.000; Poi altri 15 con stipendi che variano da nrs. 25.000 a 45.000. Il nuovo Presidente della Repubblica nepalese guadagna nrs. 70.000 al mese.

Molta di questa gente la conosco sono maneggioni stagionati che hanno vagato da un associazione all’altra (spesso e fortunatamente restando a spasso) per racimolare il miglior salario con la minore fatica. In sintesi sono feccia e costano il 50% (cioè euro 150.000) dei soldi inviati in Nepal da oltre 3500 famiglie italiane per sostenere a distanza bambini nepalesi.

E, il rappresentante italiano cosa fa, gli chiedo stupefatto. Pensa alla gmocca e confeziona finti reports da spedire in Italia, copiati da quelli precedenti, quando le cose funzionavano. Mi racconta che l’attività preferita è bivaccare negli alberghi a 5 stelle, organizzando inutili workshps. Poiché l’abitudine allo scrocco è regola, questa gente dorme negli hotels anche se abita a poche centinaia di metri di distanza. Io me ne torno a casa, abito a Kathmandu.

Gli occhi allungati di Salam tendono a spegnersi quando mi racconta queste vergogne e aggiunge prima davamo 2.50 rupie al giorno per l’integrazione alimentare ai bambini dell’asilo, oggi ne danno solo 1, malgrado tutti i costi siano aumentati. Con questa cifra non si compra neanche mezza scatola di biscotti. Con il costo di un lab top (computer) dato a questi “chor” (ladri) si assicurerebbero integrazioni alimentari per sei mesi a 800 bambini.

Questa gente, mi racconta, ha distrutto in poco più di un anno il rapporto di fiducia, partecipazione che avevo stabilito con le comunità. Avevamo iniziato a lavorare in modo diverso rispetto alle altre INGO, direttamente con le persone. Hanno fermato la capacità della gente dei villaggi di contribuire e partecipare al progetto, hanno diffuso pratiche e metodi corrotti.

Metodi che hanno incontrato resistenza da parte delle comunità, abituate a partecipare, a condividere, e allora hanno cercato di fare la cosa più semplice: trovare un altro posto per fare i progetti, secondo il loro metodo da intrallazzatori. Uno di questi delinquenti, Buddhi Man (noto incapace ex disoccupato) è andato dal parlamentare maoista chiedendogli di segnalargli un’altra organizzazione locale e area. Anche i maoisti, non certo delle pecorelle, si sono scandalizzati dalla proposta.

 Mi parla di un Training Center costruito a Thulo Parsel e pagato da un contadino del villaggio (non hanno raggiunto l’accordo per l’affitto della terra) poi, balbikas scuola costruita nel progettoperò, sul giornale italiano dell’organizzazione è comparso il Training Center come costruito da loro, per farsi belli davanti agli sponsors. Io ho distribuito la pagina del giornale nei villaggi per far vedere come lavora questa gente. scuola non finita a chapakoriA Chapakori hanno contribuito alla costruzione di una scuola, ma non l’hanno finita e adesso le pietre a secco (senza intonaco di cemento) rischiano di finire sulla testa dei bambini. Continua con insegnati licenziati, libri non distribuiti, classi di sostegno tagliate. Un massacro che mi lascia con le mani nei capelli.

 Penso con rabbia ai parassiti che parlano a vanvera negli uffici di Kathmandu, alle macchine che li trasportano a casa, mentre il povero Salam raggiunge a piedi e in bus i villaggi sorbendosi le lamentele della comunità. Io, conclude Salam, avevo messo sulla strada un bus ed ora è stato assalito dai banditi, come spesso succede nel Terai. Non c’è peggiore colpa che rubare il lavoro e il merito a qualcuno.

Questa storia triste non è isolata ma raccoglie diversi elementi comuni alle attività delle ONLUS/INGO.

 Il personale è selezionato in base ai rapporti d’amicizia (la massima parte degli annunci sono solo per dimostrare regolarità). Una volta assunto una persona questo si tira dietro amici, parenti e conoscenti. Nel migliore dei casi arrivano giovani volontari carichi d’entusiasmo ma privi di capacità (o alla solo ricerca di un certificato per guadagnare crediti universitari) o gente al primo lavoro o senza speranza di trovarne uno in Italia.

L’altro elemento comune è l’omertà. Nessuno critica l’andamento dei progetti per non perdere il posto e, nella sede centrale, per non perdere i finanziamenti. Malgrado gli innumerevoli sprechi e corruzioni anche i giornalisti, in Nepal raramente scrivono sulla inefficienza delle NU o delle INGO, perché queste sono possibili datori di lavoro per consulenze, pubblicazioni, communication office.

 Infine la forma, ciò che conta sopra ogni altra cosa sono i reports da consegnare ai donatori, le foto e gli articoli da pubblicare sui giornali italiani a beneficio degli sponsors. Grandi paroloni su governance, certificazione di qualità, senza pensare che, come tante volte accade nelle aziende profit queste sono solo marketing e che la qualità del lavoro la fanno le persone e il loro impegno, come ha fatto il povero Salam soffocato da uno sciame di parassiti.

6 risposte a “Che tristezza: ONLUS italiane in Nepal (1)

  1. Ciao,
    mi chiamo Giorgio, ho 33 anni, e ho passato gli ultimi 6 mesi a lavorare per una INGO. Me ne sto andando via. Non ne posso piú di non poter lavorare decentemente e ti ringrazio per aver messo a nudo una realtá che é una vergogna. La cosa peggiore e che ci sono migliaia di persone che vogliono davvero lavorare é che sono spinti via, ostacolati in tutti i modi, lasciati soli.

    Grazie,
    Giorgio

  2. E’ una realtà dura da digerire in Nepal questa. in più di un mese in Nepal (che sicuramente è poco) ho conosciuto due italiani che vivono a Kathmandu da anni e si sono arricchiti con nulla. macchinoni giapponesi e villazze vicino Baktrapur costruite con i soldi del Nepal, dei bambini nepalesi…ma loro se la godono, si vantano con noi italiani perchè dicono di aver fatto la grande svolta, di aver trovato la gallina dalle uova d’oro in un paese che tutti giudicano del terzissimo mondo. Parlano di quanto sono furbi nello sfruttare i ragazzini pagandoli 2 euro al giorno, sorseggiando gorka beer nel ristorante alla moda di Kathmandu e nascondendosi dietro la facciata-o attività collaterale legataalla onlus-dell’agenzia di viaggi italo-nepalese. Che scifo. La parte del Nepal che ricordo con ribrezzo è quella legata a gente di questo tipo…italiani…..

  3. Sono allibito e ringrazio te e tutti quelli che hanno reso chiarezza a quello che temevo più di ogni altra cosa. Ora non mi resta che eliminare subito il bonifico , anche se mi sarebbe piaciuto andare direttamente a kathmandu a fare quattro chiacchiere direttamente con questi personaggi di cui parlate.
    E’ una cosa tristissima di cui ho sempre temuto la realtà ed effettivamente è così ora capisco xè molte persone non fanno volontariato o beneficenza…

    Sono mortificato e deluso profondamente…

  4. Forse, come per il profit, l’attuale crisi economica e calo delle donazioni porterà a una selezione anche nel settore delle ONLUS e ONG. Troppe organizzazioni inutili, troppi turisti della cooperazione incapaci (e iperpagati), troppi ricchi burocrati locali che ne aproffitano, troppi progetti finti o inutili. Un pò di austerità, spero, faccia emergere le organizzazioni più efficienti (che pur esistono) e, conseguentemente, le persone che vi lavorano nell’interesse dei benificiari e non nel loro.

  5. Ciao Enrico,

    sono Maria, ho appena scoperto il tuo sito e lo trovo molto interssante infatti da oggi non ho ancora smesso di leggerlo, complimenti!

    Triste pensare a tutte queste false promesse e sprechi.

    Io non sono un’esperta del Nepal (ma mi impegno), mio marito e’ nepalese e tutti tra parenti e amici, in Nepal e all’estero pensano che certe NGOs fanno piu’ male (o niente)che bene e i grandi fuoristrada bianchi delle nazioni unite che a malapena passano per le vie di Katmandu sono un controsenso famoso, peccato…

    Ciao

  6. Ciao Maria
    grazie per i complimenti. Si cerca di raccontare qualche avvenimento, fuori dai conformismi.

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