NGO, Onlus, adozione a distanza (7)

 cooperazione-di-subash-raiSonia e Giorgio, il film di  Peter Brock mi spingono a ri-scrivere sul  mondo delle ONLUS\NGO che  è sottoposto, a livello complessivo, a critiche crescenti. Non è bello generalizzare ma le esperienze personali, raccontate e che arrivano a questo blog sono, purtroppo, abbastanza univoche. Partendo dal piccolo e particolare (vedi tag ONLUS) vediamo che la realtà descritta nei post precedenti rispecchia un andazzo abbastanza generale come descritto da diverse ricerche internazionali (vedi pagina Docs).

Un primo pensiero: ormai è difficile credere che le ONLUS\ONG rappresentino un approccio alternativo alla cooperazione internazionale, più efficace per i beneficiari rispetto alla cooperazione ufficiale. Le critriche mosse all’ODA (Official Development Assistance), i cui fondi normalmente finiscono nei baskets dei governi supportati, e alle NU, dove il 90% delle risorse sono destinati a rimpinzare la struttura, sono estensibili anche al bel mondo delle NGO. (In questo senso gli studi di Dirk-Jan Koch, Axel Dreher, Peter Nunnenkamp, Rainer Thiele in pagina Docs)
La teoria prevederebbe che le ONLUS\Ngo dovrebbero operare direttamente con i beneficiari, lavorare con e nelle comunità, favorendo così una  loro diretta partecipazione in tutte le fasi (studio, implementazione, valutazione e modifica) dei progetti. In questo modo, contrariamente alla cooperazione istituzionale, i fondi sarebbero utilizzati pienamente per i poveri da sostenere,  con pochi passaggi intermedi e meno costi di struttura.
Ricercare, pensare, condividere, implementare e valutare i progetti con le comunità beneficiarie accresce il loro capitale umano e sociale. Per fare questo bisogna, prima di tutto lavorare duramente, impegnarsi, delegare risorse e potere per far crescere e coinvolgere contadini, giovani e insegnanti come attori dei progetti. (vedi lo studio nella pagina Docs su Social Capital)
Questo è l’unico modo perchè le attività d’aiuto internazionale siano efficaci, cioè dirette a soddisfare le vere necessità dei beneficiari, perchè siano sostenibili (anche al termine dei finanziamenti) grazie alla creazione di capacità autonome di gestione e di attivazione delle istituzioni locali o nazionali. Nell’esperienze da me fatte, le comunità partecipavano con lavoro volontario o contributi economici alle costruzioni di scuole, al pagamento degli insegnanti, al finanziamento delle cooperative e questo rendeva le realizzazioni non un regalo ma una cosa propria e voluta.  Ciò perchè il personale incontri-nelle-comunitaimpegnato nei progetti era in gran parte proveniente dalle stesse comunità in cui si operava, formatosi con impegno e pazienza. Disposto a impegnarsi, avendo acquisito gli strumenti, per lo sviluppo dei villaggi in cui erano nati.

Poichè l’obiettivo delle NGO non prevede l’efficacia dei progetti ma solo la loro spendibilità verso i donatori, ecco perchè l’impegno, l’intelligenza, il committment richiesto per  sviluppare le attività in reale partnership con i beneficiari, sono eventi rari. Perciò i progetti che più spesso hanno efficacia concreta sono quelli tecnici (medico-sanitari, infrastrutture) o gli interventi nelle emergenze sanitarie. Nel piccolo, poi, funzionano i micro-progetti gestiti da associazioni di volontari e da missionari e diretti a gruppi ristretti di persone o a individui se non s’inseriscono pasticcioni, finti missionari laici e lestofanti come è accaduto in alcune situazioni in Nepal.
Internet è pieno d’esempi di malpractices dell’ industria dell’assistenza e in Bangladesh, addirittura, un rapporto diTransparency International (nella pagina Docs) racconta che i wrongdoings riguardano l’85% delle ONG operative nel paese. In Cambodia, donors spent between $50m and $70m on 700 international consultants – equivalent to the wage bill for 160,000 Cambodian civil servants, ci ricorda il premio Nobel Amatya Sen per concludere poco.

Sarebbe interessante fare una statistica della provenienza dei dirigenti delle ONLUS/INGO, forse, si scoprirebbe che li si rifugiano ex-sindacalisti, politici fuori gioco o alla ricerca di visibilità, cariatidi della cooperazione di stato e del no-profit consumati nella ricerca di contratti e sovvenzioni, dame di carità, qualche filantropo. Rari, almeno per l’Italia, sono le persone che hanno maturato esperienze nel settore privato e che, per libera scelta, hanno deciso di trasferire competenze ed esperienze nel no-profit.

Per rimanere nell’esempio raccontato nei posts precedenti, la ONLUS descritta ha un Comitato Direttivo formato da due politici, ormai fuori gioco e lì collocati per accontentare il loro ego insaziabile su cui è cresciuta la loro carriera (uno dalla corte di Salvo Andò), il terzo è un trapassato ex consulente UNDP (che riesce così a continuare a prendere qualche bella consulenza e a farsi qualche viaggio) e, infine, da due poverelli senza arte né parte nel settore. Tutta questa gente se ne impippa dei progetti e della loro efficacia e lascia la gestione a una marea di consulenti mercenari. Poi ci sono le multinazionali gestite da manager del marketing la cui priorità è l’immagine e la conseguente raccolta fondi. Praticanti del dogma diffuso da Jeffrey Sachs to Bob Geldof, the new orthodoxy asserts that more money will solve Africa.s problems, come scrive nel suo studio Michael Edwards (in pagina Docs). Infine ci sono i volentorosi, animati da buone intenzioni, ma, spesso, grandi pasticcioni.
Questo accade perchè, specialmente In Italia,  i meccanismi dei finanziamenti hanno determinato le strutture e le politiche delle NGO. Quelle tradizionali sono finanziate dal MAE e dall’UE. Quindi si devono adeguare a procedure, metodi, obiettivi dei donatori e anche a un organizzazione che tende più alla forma che alla sostanza. Cioè conti formalmente in regola, reports ben confezionati, grandi chiacchiere e workshops per vendere l’immagine. E, dati i canali di finanziamento, legami e clientele politiche. Questa situazione ha determinato la formazione e la selezione del personale che lavora nelle ONG .

Poiché l’obiettivo principale dei progetti così finanziati non è l’efficacia ma l’adempimento delle regole e delle procedure formali richieste dai donatori, ogni contatto, coinvolgimento, partnership con le comunità e i beneficiari è escluso. Troppo pericoloso, troppo lavoro, poco controllo. Così sono nati i travet dell’industria dell’assistenza sparsi in ogni angolo del globo che hanno copiato le pratiche consolidate dai burocrati delle NU.
I poveri, i marginali, gli esclusi sono così diventati invece che i soggetti delle attività di aiuto, gli oggetti, a volte mai visti,  di reports, relazioni, workshops. Anzi più li si teneva distanti meglio era: rischiano di macchiare le relazioni colorate.
Questa attitudine universale ha prodotto, nei paesi aiutati, la nascita di nuove professioni e caste: i development brokers. Sono proliferate NGO  per intercettare i finanziamenti, spesso costituite dai politici locali. Le ricerche hanno definito questo fenomeno “elite capture” cioè le classi dirigenti dei paesi poveri sono diventate i referenti o i funzionari strapagati, delle NGO internazionali. (vedi l’esempio dell’ONLUS studiata nei precedenti posts)
This has been recognized by even donors. According to a DFID report, Society’s caste employment and income inequalities are indeed strikingly reflected in many agency structures, which are dominated by the Brahmin and bambino-pescatore-mozambicoChettri castes and the Newarigroup. In spite of the emphasis given to rural employment, the management of programmes is still overwhelmingly placed in the hands of a ‘gate keeper’ group. (Critical reflections on INGO and NGO relations in Nepal in pagina Docs)
I travet internazionali hanno preferito operare tramite i maneggioni locali (impedendo e non favorendo il crescere dei soggetti marginali) the shortcut of trying to mobilize rural people from outside through leaders, rather than taking the time to gain direct understanding and support from members, is likely to be unproductive or even counterproductive, entrenching a privileged minority and discrediting the idea of group action for self-improvement”. The risk of misappropriation of aid resources by unscrupulous leaders is aggravated when educated and well-connected persons usually with an urban background succeed in gaining access to leadership positions in village-level associations (scrivono in  di Rural Development, Esman and Uphoff, nella pagina Docs).
I travet hanno così ridotto la cooperazione internazionale in un copia e ricopia di progetti, spesso inutili, ma di facile appeal per raccogliere fondi o nella dilagante training and seminar cooperation (comunitari, health, disaster, capacity, rule of law, oral care, etc.) facili da organizzare (pagando i partecipanti) e con risultati facilmente dimostrabili (il numero degli stessi) ma la cui utilità è prossima allo zero se non per gli hotels a cinque stelle in cui vengono presentati i risultati. Fear of jeopardizing their own funding possibilities results in the unwillingness to share grant ideas and rather than building networks and developing publics, groups consciously retain small memberships, withhold and stash information, duplicate each other’s projects.

Poiché ho conosciuto molti di questi travet dell’industria dell’assistenza ricavo (un po’ generalizzando il che non è un bene) un ritratto. Persone con scarsa esperienza professionale, piovute nel paese senza conoscerlo né apprezzarlo, caricate di potere (soldi), con capacità scarse non spendibili in Occidente, interessati a mantenere il salario e i privilegi. E’ troppo?
Ciò implica che s’astengono da ogni critica, ricerca, iniziativa per non scontentare l’Head Quarter (che chiede solo immagine pena  rischi nella raccolta fondi); diciamo che è umano.
bambino-cambogiaQuesta è già una risposta a Giorgio che si domanda perché vi è un omertà diffusa: nessun vuole perdere il posto di lavoro. Aggiungiamo che lo stesso meccanismo muove giornalisti e operatori locali che rischiano di perdere i foraggiamenti dall’industria, grande e piccola, dell’assistenza che, in molti paesi, è dominante. Se uno si legge i blogs dei paesi sostenuti e la percezione della gente comune sul lavoro e l’efficacia delle INGO, trova facile conferma di questa realtà.
Quando, come negli ultimi anni, i finanziamenti statali sono diminuiti le NGO tradizionali sono partite alla caccia delle donazioni private e hanno cercato d’inserirsi nel grande mercato dell’adozione (sostegno) a distanza.
Purtroppo, pur raccogliendo anche questi fondi non vincolati a obiettivi e procedure, non hanno cambiato il loro metodo di lavoro anzi l’hanno esteso (tramite la migrazione di travet da ONG in crisi) a molte organizzazioni del sostegno a distanza, importando anche lì inefficienza.
Per questo l’ONLUS esemplare di cui abbiamo parlato e di cui pubblichiamo a fondo pagina (su richiesta) i bilanci commentati negli altri posts) continua a sprecare.
Caro Giorgio tu giustamente ti lamenti ma cosa dovrebbero dire i bambini cambogiani. Da quel paese mi arriva la notizia che per gestire un budget di circa euro 200.000, spendono euro 70.000 per due espatriati (con casa e altri benefits), euro 20.000 (per 8 impiegati locali), euro 15.000 per spese amministrative e consulenze (case e uffici), euro 25.000 per mezzi di trasporto. Cioè su un budget di euro 200.000 (che era circa 410.000 prima del prelievo del 55% per spese di gestione in Italia), i poveri sostenitori vedono arrivare ai bambini sostenuti euro 65.000.
Cosa ci possiamo fare se non sperare nell’occhio lungo dei donatori e, anche, in questo caso di Yama.

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5 risposte a “NGO, Onlus, adozione a distanza (7)

  1. hai ragione Enrico..ma quello che mi stupisce é il perseverare anche davanti a casi conclamati e messi a nudo. La logica della consapevolezza omertosa e rassegnata continua imperterrita a seguire la scia del guadagno facile sulle spalle degli altri. Di travet ce ne sono tanti…piú di quelli che crediamo.
    Ho letto che anche tu ti occupi di progetti i sviluppo. Confido in te. Mi uguro che tu sappia usare la stessa trasparenza che usi undo posti. A volte puó bastare solo quella per rendere limpide le cose e non creare equivoci in un paese meraviglioso che si pensa equivoco erroneamente.
    Buona fortuna

  2. me ne occupavo, ho preferito tornare nel profit. C’è meno ipocrisia. Continuo a offrire (gratuitamente) consulenza e aiuto a diverse ONG nepalesi che lavorano seriamente, malgrado tutto

  3. Effettivamente come si puo’ uscire da questa situazione?

    Chi potrebbe fare da terza parte neutrale e magari controllare l’operato delle ONG?

    Ci penso e poi concludo che (1) si spenderebbero ancora altri soldi e inoltre anche le terze parti sono corruttibili.

    Piu’ che altro, come dici tu, e’ proprio “umano” mangiare il piu’ possibile e fare il meno possibile.

  4. Ti ringrazio infinitamente, Enrico, a nome di tutte le persone che condividono la mia situazione… Grazie per parole come “l’impegno, l’intelligenza, il committment richiesto per sviluppare le attività in reale partnership con i beneficiari, sono eventi rari” che non sono solo parole, bensì DICHIARAZIONI DI FATTO, e di FATTI NON DA POCO.
    Quando inizieremo, finalmente, a parlare del fenomeno dell’OVERQUALIFICATION, fenomeno tacciato e temuto proprio dalle ONG in questione, quasi più di quanto già non fosse da imprese profit (ben meno ipocrite, come giustamente scrivi in risposta a Sonia)? Quanto inizieremo a parlare della storia di persone SERIE che hanno semplicemente compiuto l’errore di specializzarsi DAVVERO e profondamente in questo settore per poi imbattersi negli attori in questione (ONG E ONLUS italiane, ma anche britanniche, francesi e spagnole non sono certo da meno) che pur dopo contrattazioni indegne e incivili offrivano COME SE FOSSE ORO irraggiungibile stage semi-gratuiti per svolgere le stesse mansioni già perfettamente acquisite nel settore privato (dunque lavorando per dieci/venti volte rispetto a una qualsiasi ONG europea di medie dimensioni con un livello di esigenza e qualità incomparabile rispetto a queste ultime), già di per sé banalissime, solo che per accedere al “dorato” Mondo delle ONG è costretto ad accettare di vedersi rinnegata persino un’esperienza decennale? Perchè farlo, dunque, perché accettare? Ovvio: perché in alcuni paesi europei, come ad esempio in Italia, le ONG si sono conquistate il dominio assoluto di alcuni temi, come quello dello sviluppo e della “conoscenza delle aree di crisi” ma persino semplicemente delle relazioni con alcuni paesi extra-europei. E se sei stato così poco “lungimirante” dallo specializzarti proprio in queste aree (poiché mai e poi mai avresti potuto pensare o credere che questo implicasse trovarsi un domani nella condizione di lavorare a condizioni inferiori a quelle altrui o da non poter mai e poi mai essere ritenuto un Lavoratore a tutti gli effetti, bensì uno pseudo-volontario a vita dal quale ci si aspetta persino la condanna dal LAVORO VERO visto come un tabù e possibilmente un male da sconfiggere, in tutti i paesi a qualunque “stadio di sviluppo” secondo le ONG) accetti “accecato” proprio dalla possibilità, remotissima possibilità, di avvicinarti seppur lontanamente e sempre e solo virtualmente, alle aree tanto amate, studiate, comprese e incomprese, salvo poi essere in brevissimo tempo trattato come Eretico contemporaneo quando si scopre che hai persino una vaga idea della collocazione geografica dell’Africa o dei Paesi dell’America meridionale, conoscenze elementari deprecate dalle ONG che amano, sposano e incoraggiano meramente un approccio “fedele”, “incosciente” e “ignorante” alle aree e ai temi in questione, immaginiamo inorridirebbero se scoprissero veramente (i dirigenti e responsabili a vari livelli di tali ONG e ONLUS che al massimo possono essere laureati in qualche “Scienza delle merendine” e se per errore sono passati da lontano accanto a qualche facoltà semi-seria si sono di certo impegnati con tutte le loro forze per dimenticarlo!) che hai persino studiato l’economia e le istituzioni, nonché storia e lingue, di tali paesi. Quale crimine più efferato nei confronti di chi ama alla follia riempirsi la bocca con termini altrettanto insensati (in un mondo pur lontanamente vicino a qualche espressione di senso) come “OVERQUALIFICATION”?

  5. Cara Anna
    ne abbiamo parlato e riparlato e sono storie penose. La gran parte di questa gente si autoqualifica fracendo finta di lavorare in favore dei beneficiari. Noi abbiamo sottoposto a analisi le attività di CCS Italia, come esempio e sono penose. Fra poco vedremo il loro bilancio e scopriremo buchi e controbuchi. Il dato di fatto è che in Nepal arrivano meno di 5 euro a bambino mentre in Italia ne versano 250.
    Ma ti segnalo, per rimanere in tema un esmepio di come sprecano i soldi donati per i bambini. “Proposal Writing Training
    for the Staff Members??? (CCS Italia) in nepal, 5 giorni di corso per 7 persone di staff, costo euro 1.500 (escluso vitto, alloggio e materiuale didattico). Cioè 3 volte il reddito procapite annuo di un nepalese.
    Se ti elencassi i temi del corso (che sono a disposizione di chi è interessato) ti metteresti a piangere.

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