L’industria dell’assistenza

Si è aperta una corsa d’iscrizioni da parte di NGO (non-governmental organization)  in Nepal. Gli uffici scalcinati del SWC (Social Welfare Council) sono presi d’assalto da benefattori dell’umanità. Il passato segretario di uno degli enti più inutili e corrotti, Dr. Chewamg Uamgel Lama è stato sospeso per irregolarità e corruzione come altri suoi predecessori. Il SWC dovrebbe controllare se le NGO  locali e internazionali operano veramente, come spendono i soldi e come sono reali i progetti proposti. Basta qualche amico e qualche migliaio di rupie per essere meglio di Kofi Annan e superare ogni verifica.

Con la bella stagione (novembre dicembre) hanno chiesto di essere registrate ben 720 NGO locali che hanno portato il numero di quelle teoricamente attive a 34.000, più 202 INGO (cioè le  internazionali). In pratica una ogni 872 abitanti e 8 per ogni villaggio del Nepal. In media con altri paesi come Haiti (10.000), India ( calcolate oltre 3,5 milioni) e Pakistan (100.000). C’è da dire che questo aumento è indirettamente proporzionale alla gravità dei problemi, dato che durante le fase più acute del conflitto (2003-2006) INGO e NGO tendevano a scomparire. Ultima cosa il Nepal, adesso, è il luogo ideale per farsi un curriculum e passare qualche anno di vacanza pagata. 

Questa è l’industria dell’assistenza che corre per spartirsi circa euro 2 miliardi all’anno donato dai poveri dei paesi ricchi ai ricchi dei paesi poveri, come diceva una vecchia, ma ancora attuale, frase. Da dividere, insieme al governo, vi è poi la massa delle donazioni dell’ODA (Official Development Assistance) cioè i fondi provenienti dalle nostre tasse e incanalati tramite le agenzie governative e il sistema delle NU e delle Banche per lo sviluppo. Qua piovono euro 550 milioni all’anno (172 nel 1980) di cui il 60% finisce nelle casse dello stato per coprire il deficit, circa il 10% finisce in forma varie di corruzione o in benefits per i burocrati, il resto finisce investito in progetti, spesso non conclusi o insensati. Basti pensare i fondi destinati ogni anno alla ristrutturazione di strade e ponti, al controllo delle acque, alla sanità e chiedere alle migliaia di vittime ogni anno per incidenti stradali, frane, diarrea, inondazioni. Parte di questi sono stanziati ma non utilizzati per la cronica instabilità politica, come è accaduto per i fondi destinati allo sviluppo del commercio (Aid for Trade). Ancora in questi giorni, dopo il ritiro di uno dei partiti Madeshi, anche il governo Bhattarai sta pericolosamente scricchiolando, sotto le accuse di corruzione e incapacità.

I maggiori donatori istituzionali sono, nell’ordine, il Giappone, la Gran Bretagna, la Germania e gli USA sta emergendo la Cina che ha raddoppiato i fondi negli ultimi due anni raggiungendo la somma di euro 25 milioni nel 2011 (centrali idroelettriche e strade), con l’intento di esercitare una forte pressione per annullare i movimenti dei tibetani in esilio in Nepal. I settori più di moda e dove circolano più soldi sono quelli del “climate change”, “community development (?)” e gli eterni dalit (intoccabili), sempre marginalizzati ma produttori di reddito per le classi alte che dirigono al 90% le NGO quasi tutte ben salde a Kathmandu

Non è il caso di riproporre, l’antico dilemma sulla qualità dell’utilizzo di questo denaro, sulla sua efficacia per intervenire sui problemi delle persone comuni, sulla gestione centralizzata e in mano al sistema politico-affaristico della capitale, sulla dipendenza e corruzione che questo flusso incontrollato crea. Ne abbiamo parlato in altri post. Tant’è che da decenni, in Nepal come ovunque dove opera su scala massiva l’industria dell’assistenza, si pubblicano studi e report su “aid effectivness”, “aid policy” e via discorrendo che cercare di capire perché gli investimenti rendono tanto poco.

Ma una cosa è ancor più fastidiosa: in Nepal funzionavano antiche istituzioni informali che gestivano controversie, risorse, piani di sviluppo. Erano un tempo una vera “società civile” creata dal volontariato e dagli interessi comuni, ben diversa dalle elites urbane che si spartiscono, oggi, cariche e soldi dell’assistenza internazionale, riproducendo metodi e sistemi occidentali. C’era il consiglio del villaggio (Gram Parishad), il Pancha Bhaladami (i cinque anziani incaricati di dirimere dispute per la terra o i raccolti), il Chumlung (l’assemblea di villaggio) e l’Amal Khot (una specie di tribunale del villaggio), il Guthi (una specie di parrocchia che gestiva terre e risorse collegate ai templi).

Jude Howell (London School of Economics) scrive che “”From the mid-1990s onwards NGOs units metamorphozed into civil society departments and donor agencies sprouted civil society projects, civil society officers, civil society experts, and civil society challenge funds. Donor agencies began to draw up civil society strategies and develop indicators and methodologies for assessing the nature of civil society and the impact of their support initiatives.

Dopo il conflitto, come ovunque, le NGO sono state lottizzate dai partiti e fungono da collettori di fondi, in forme dirette ed indirette, verso gli stessi, ciò è comodo per i donatori : non hanno problemi, giustificano le spese a casa come date a strutture locali, si tengono buoni i potenti di turno, si relazionano con dirigenti “occidentalizzati” e già introdotti nel sistema dell’assistenza; non devono correre e discutere nei villaggi. Intanto basta il passare del tempo, i telefonini, il computer, internet, la diffusione delle conoscenze di base, i soldi della migrazione per migliorare le condizioni di vita materiale delle persone e, per l’industria dell’assistenza, prendersi il merito

4 risposte a “L’industria dell’assistenza

  1. mi ricorda il problema che vedevo ogni giorno a Phnom Penh: anche in Camobogia, passata la fase critica del conflitto si sono moltiplicate le ONG. tanto che la capitale è “infestata” di occidentali e la differnza negli stili di vita con altre città si vede benissimo.
    oltre, ovviamente a tutto il giro di corruzione per il governo ed i partiti maggiori che si creava di conseguenza (un dei grandi problemi che avevamo al tribunale ECCC…) e per rimediarvi i giapponesi anzichè dare soldi, costruivano direttamente ciò di cui c’era bisogno.
    una domanda: l’India non partecipa a questa corsa in Nepal? se non erro sono paesi fortemente legati, e poi avrebbe tutto l’interesse nel limitare la Cina…
    qualche ONG che lavora bene c’è?

  2. Si, anche in Cambogia se ne vedevano e se ne vedono delle belle. Riguardo all’India gli aiuti sono limitati (devono pensare ai loro problemi) e concentrati, specie nel passato, sulle risorse idroelettriche e le strade.
    Il sistema dell’assistenza, specie quello italiano, rappresenta
    la nazione (come la classe dirigente), stimo in un 10% le persone serie.

  3. Ciao Enrico
    molo interessante l’articolo che dà il senso delle grande confusione che regna nel settore.
    Interessante è anche il cenno ai “nuovi donatori”, Cina, India, Brasile, SUd Africa che, forse, metteranno in discussione metofi e pratiche della cooperazione internazionale esauste.
    Ti volevo segnalare che nel 2010 il flusso di donazioni ODA, cioè da parte degli stati ha raggiunto il record di USD 16,7 miliardi. E’ stato nche comprovato che oltre il 30% di quest cifra è rimasta nei paesi donatori per il pagamento di stipendi e attrezzature.
    Fra i paesi emergenti, il Brasile con oltre USD 35,6 mio (al pari con Svezia e Canada) e dirette ai paesi di lingua portoghese (Mozambico, Timor, e Guinea nonchè all’america latina Paraguay, guatemala ed Haiti.
    L’india ha raggiunto la cifra di USD 56, 5 mio concentrati in Afghanistan, Pakistan, Sri Lanka; solo un 7% dei fondi raggiunge l’Africa e l’America latina.
    La Cina investe nell’industria dell’assistenza USD 107 Mio in Asia e in Africa; il Sud Africa spende USD 3,5 mio conventrati nei paesi vicini: la Russia ha raggiunto USD 140 mio concentrati nelle ex repubbliche sovietiche dell’Asia.
    Naturale che gli aiuti internazionali servano a rafforzare le rispettive aree d’influenza.

  4. The Canadian International Development Agency (CIDA) has doled out Rs 120 million to 19 ethnic groups and networks over the last three and half years. UNDP has spent Rs 25 million on 15 ethnic and regional networks to advocate for ethnic issues under a project on inclusive constitution. Swiss Development Cooperation has been providing Rs 2.25 billion annual budget to the CA, political parties as well as other NGOs since 2009. The Danish HUGOU recently launched a Rs 624 million project called the Madhes Initiative. Similarly, the German aid agency (GTI) has already spent Rs 82.5 million during the first phase and an additional Rs 110 million has been dispersed for discussion on federal issues. There are 34 EU projects supporting the ethnic agenda. The EU has been openly advocating ethnic issues in Nepal since 1998.

    Ethnic issues have overshadowed political and economic issues during the country’s political transition mainly because they have been well-funded from external donors to redress discrimination against marginalised communities. The issue came to prominence after an indigenous caucus of CA members recently prevented the four major parties from tabling a proposal in parliament, proving that the ethnic agenda is dominating debate in the CA.

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