Louise Mushikiwabo e il dimenticato Ruanda

Speriamo di non rivedere le strade intorno a Rani Pokhari piene di spazzature come qualche mese fa. Perché il problema diventa, ormai ricorrente a Kathmandu. Per il resto tutto tranquillo i maoisti vedono il High Level Political Mechanism come un governo alternativo e d’unità nazionale in cui sono compresi, litigano e si picchiano con l’UML, quindi tutto nella norma. Gli scioperi (almeno i loro sospesi) e l’Assemblea Costituente che ha ripreso, lentamente, i lavori. Proposta: dividere il Nepal in 14 province autonome (non ho letto i dettagli), evento pericoloso e che ha già suscitato proteste da numerosi gruppi etnici. Qui vedremo.

 Anche in Cambogia nulla di nuovo, a parte il va e vieni dell’ex-primo ministro ora ricercato thailandese, il magnate Thaksin Shinawatra (ora vive in Dubai) . Grande amico del primo ministro cambogiano Hun Sen, accolto con tutti gli onori ufficiali, fatto considerato grave dal governo thailandese che ritiene che Thakshin voglia utilizzare la Cambogia come base delle sue operazioni politiche e non solo. Negli scorsi giorni sono state sparate un po’ di granate contro il quartier generale dell’esercito, determinante per la sopravvivenza del governo.

Poiché il titolo di questo blog è Look The World, diamo un occhiata a cosa succede in posti, presto dimenticati. Mi è capitato fra le mani un numero di Newsweek che, come è in uso negli States a fine anno, fa una classifica dei personaggi più rilevanti del 2010. Uno di questi è stata Louise Mushikiwabo, ministro degli esteri del Ruanda. Questo paese è sparito dalle pagine dei giornali italiani come sempre quando è finita la sensazione e c’è, magari, da approfondire. Il nome seduttivo della Ministra non è mai comparso sulla stampa italiana. Non è una novità anche per altre questioni. Eppure la decisa Louise sta contribuendo a raddrizzare, e bene, un paese sfasciato (circa un milione di morti nel 1994), in guerra con i paesi vicini e senza più niente (stato, economia, istituzioni, legge).

Cosa è successo in questo breve periodo. Il Ruanda è entrato nel Commonwealth “We have become a country of openess” dice Louise nell’intervista a Newsweek. Si sta pensando di costruire una ferrovia (porto di Mombasa- Kampala) per facilitare il transito delle merci (tea, caffè, prodotti agricoli, oli vegetali e importare tecnologie e prodotti alimentari) in tutta l’Africa sud-orientale. Un progetto decisivo specie per i paesi senza sbocco al mare come il Ruanda, Burundi e Uganda. “We are looking to integrate more fully in the Esat African community, where we are opening a huge market for Rwandan products”. Anche il turismo è aumentato, malgrado la crisi generale, in tutta la regione compreso il Ruanda. Colline, gungle, gorilloni sulle montagne, questo prometto il sito ufficiale Discovery a new african dawn“. Può essere una buona idea, mi racconta chi c’è stato per lavoro.

Intanto a Dar es-salaam sono state poste le basi (gennaio 2010) per una maggiore integrazione della Comunita’ dei Paesi dell’Africa orientale (EAC) sul modello dell’Unione Europea. Bel progetto, poiché l’integrazione economica è l’unica via per limitare conflitti e sviluppare forme integrate di relazioni politiche. Si è firmato un trattato per formare un Mercato Comune, per smuovere e sviluppare le economie. Il paese è ancora sostenuto al 60% dagli aiuti internazionali, ma “we cannot live on someone else’s tax money forever. Aid is important, and aid for Rwanda has worked. But your mind becomes more creative when you look for a way to get yourself out of poverty”. Parole chiare come tante altre scritte e dette da questa donna. Insomma belle notizie da quel posto dimenticato, addirittura sono riusciti a stanziare USD 100.000 per non restare indietro nella gara di solidarietà per il disastro naturale (che si somma al disastro abituale) per la povera Haiti, di cui parleremo a bocce un po’ più ferme.

Si aggiustano anche le relazione con i vecchi padroni coloniali francesi (a febbraio il Sarkosi scenderà laggiù). Accuse e contraccuse sulle responsabilità dell’inizio dei massacri. I francesi (il giudice francese, Jean-Luis Bruguiere) attribuì all’attuale presidente Paul Kagame la responsabilità dell’attentato nel quale perse la vita il suo predecessore, Juvenal Habyarimana, evento che diede inizio alle violenze. Il rapporto del giudice provocò la rottura dei rapporti diplomatici con Parigi nel 2006. Oggi, un altro rapporto di esperti ruandesi, attribuisce l’attentato a una fazione interna al partito del defunto presidente Juvenal Habyarimana , Hutu Power, contraria alla spartizione di poteri su base etnica voluta dal defunto presidente. Quest’ultimo Rapporto ruandese smentisce uno del 2008 in cui s’accusava esplicitamente il governo francese di aver fornito armi e sostegno alla fazione e di essere implicata nello scatenarsi del genocidio. Insomma come spesso accade in questi disastri umanitari, la verità è difficile da trovare, seppellita sotto interessi, relazioni politiche, odi. Continuano, intanto, ad essere re-impatriati presunti e reali criminali, fuggiti nei paesi vicini e specie in Zambia, con cui è stato firmato un accordo per estradarli.

Dice la Mushikiwabowe have surpassed our own expectations because 15 years ago there was no country”. Solo morte, desolazione e disperazione. Stiamo tornando alla normalità grazie a “homegrown solutions”. Parla delle Gacaca Community Courts (specie di tribunali comunitari) “there was no classic justice system that would have adressed the terrible genocide. Gacaca has absolutely helped bring about reconcilation. La Mushikiwabo ha vissuto in USA per circa 20 anni è tornata per collaborare alla ripresa del suo paese, ha scritto un libro dal bel titolo: Rwanda Means the Universe: A Native’s Memoir of Blood and Bloodlines, che racconta, fra l’altro, la strage della sua famiglia.

5 risposte a “Louise Mushikiwabo e il dimenticato Ruanda

  1. bhe’ capisco le preoccupazioni di una divisione in province, pensa ai distretti del sud. gia’adesso hanno problemi pesanti con una sovranita’ che dovrebbe essere centralizzata figurarsi ad amministrarsi a livello provinciale. il rischio e’ quello di forze emergenti che si prenderebbero l’incarico di garantire l’ordine. il problema sta nella natura di queste forze, immagino tu sappia a cosa mi riferisco

  2. C’è già chi vuole le province divise in modo diverso, chi non le vuole, e, in Nepal, adesso non si discute ma si fanno dei gran scioperi e blocchi del paese.

  3. ciao enrico
    non pensi che dato l’inesistenza di un sistema giudiziario decentrato e condiviso un sistema di corti comunitarie potrebbe funzionare anche in Nepal.
    Del resto fra i tanti problemi c’è anche quello di dare giustizia alle vittime dello stato e dei maoisti durante il decennale conflitto.

  4. L’idea è già stata sperimentata in qualche comunità per risolvere i conflitti (terra, acqua, raccolti) fra i membri. Sono state formate dei tribunali di villaggio con proprie regole e funzioni. Nel 2006 avevamo presentato un progetto per estendere questo esperimento nei villaggi in cui operavamo, poi con il crollo dell’associazione per cui lavoravo tutto si è bloccato. Per il resto, a parte il reipatrio di un ufficiale dell’esercito che lavorava per le Nazioni Unite e accusato di torture niente si è fatto. Le vittime attendono giustizia e anche qualche soldo promesso, qualche vendetta si consuma privatamente.

  5. la EAC è una magnifica iniziativa, ma come per l`EU nella vita quotidiana si percepisce pochissimo e pare non faccia nulla di concreto, sebbene i rappresentati si riuniscano presso l`Arusha Conference Center (la stessa sede del Tribunale ONU).
    quanto al Ruanda, ci sono sicuramente grandi progressi. Ma anche grandissimi problemi: Kagame è al potere dal 1994 e viene regolarmente riconfermato, intanto opprime più o meno come nel periodo coloniale la maggioranza hutu, alimentando pericolosi rancori e finanzia i ribelli in Congo (non è da escludere un suo coinvolgimento anche con la banda di Lubanga per frenare gli hutu nelle regioni del Kivu congolese che dopo la presa del potere gli crearono seri problemi).
    Ma è da constatare il dato positivo della partecipazione femminile nelle posizioni dirigenziali dello Stato, fra la più alta al mondo.

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